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Il rispetto e la comprensione nei confronti del prossimo e del suo dolore sono l'antidoto contro le amanite della memoria

Celebrazioni rievocative, commemorazioni, giornate della memoria e altri eventi simili, che ci rimandano ai tragici avvenimenti del secolo scorso, hanno oggi senso, dignità e decenza soltanto se dal rispetto profondo verso le vittime affiora un monito rivolto a tutti noi che ricordiamo: non dobbiamo creare nuovi presupposti affinché si ripetano, sotto altre forme, le tragedie che hanno seminato morte e distruzione in Europa. Nel secolo scorso l’Europa ha visto nell’arco di una sola generazione ben due guerre mondiali, la rivoluzione d’ottobre, la guerra civile spagnola, l’ascesa del fascismo e del nazismo, il totalitarismo comunista e la guerra fredda, i crimini del dopoguerra e, guardando più il là, la guerra in Corea, il Vietnam, l’Afghanistan, il sanguinoso crollo della Jugoslavia e dell’Unione Sovietica ecc. Troppo sangue è stato versato, perché non scaturisse in noi una nuova presa di coscienza, da cui l’Europa ha avviato il processo d’integrazione con l’obiettivo primario di evitare altre tragedie. Le foibe e l’esodo dei profughi dall’Istria e dalla Dalmazia rientrano indubbiamente in questo contesto. Il Giorno del ricordo, che l’Italia ha voluto dedicare a questi tragici eventi, perseguiva lo stesso obiettivo di altre commemorazioni: nella giornata della pietas verso le vittime, suscitare il desiderio in tutti noi di essere delle persone migliori, più tolleranti e disposte a perdonare. Il presupposto di ogni giornata della memoria è quello di non offendere nessuno e di essere al contempo da monito per tutti. Pertanto l’intensificazione delle tensioni interstatali e del risentimento nazionale in nome del passato rappresenta una sconfitta per tutti. Le ragioni che spingono al risveglio dei demoni del passato sono varie e note: la strumentalizzazione della storia a scopi politici, l’interpretazione errata di quanto constatato dagli studiosi, un atteggiamento superficiale o addirittura irrispettoso verso il proprio vicino e infine un disprezzo più o meno velato. Elevare a verità assolute dati imprecisi e affidarsi agli stereotipi più classici sono spesso motivo di offesa e di risentimento. I media e i politici italiani, fino ad arrivare ai vertici istituzionali, potrebbero ad esempio evitare di utilizzare termini, quali la parola “slavi”, che indica una concezione etnicista verso un gruppo tribale prenazionale ai margini del mondo evoluto. Allo stesso modo è inaccettabile ed ha connotati razzisti il fare parallelismi tra gli “slavi” e la furia sanguinaria, la barbarie e i disegni annessionistici. Dalla fine della guerra in poi noi sloveni in Italia siamo stati apostrofati come s'ciavi, slavo-comunisti, barbari e altro ancora; perciò spesso sugli autobus, nei mercati, negli uffici pubblici abbiamo preferito tacere o parlare in italiano, anziché nella nostra lingua madre. Questo tipo di appellativi fanno male, proprio come fanno male agli italiani gli appellativi di fascisti, o maccheronari e mafiosi che hanno così spesso accompagnato gli emigranti nel mondo. Fanno male anche i richiami a un presunto espansionismo slavo, proprio negli anni in cui migliaia di sloveni, croati e serbi cadevano sotto il fuoco dell’esercito nazifascista, venivano sterminati nei lager o morivano come prigionieri. Tutto ciò non giustifica né i massacri del dopoguerra, né le foibe e l’esodo, proprio come nulla può giustificare i gulag e i vari Goli otok. Tuttavia non è utile ai buoni rapporti di vicinato con altri popoli sacrificare continuamente le parole di pacifica convivenza sull’altare delle reciproche accuse e delle tendenziose attribuzioni di colpa per i crimini del passato. Questa prassi persegue ben altri scopi che non hanno nulla a che vedere con la convivenza, il rispetto e il riconoscimento reciproco all’interno di territori multietnici. Per questo motivo la SKGZ Unione Culturale Economica Slovena invita i politici, i giornalisti e i commentatori italiani e stranieri ad abbandonare gli stereotipi nei confronti dei propri vicini (le minoranze sono, infatti, il vicino più prossimo), a aderire alle commemorazioni con la conoscenza e il rispetto, che stanno venendo purtroppo sempre meno, e a servirsi della memoria in senso di monito. All’orizzonte si stanno addensando, infatti, nuove nubi piene di odio e di sangue. Da parte nostra cercheremo di agire e parlare con lo stesso rispetto e la stessa comprensione nei confronti del prossimo e del suo dolore.

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